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IL CIRCENSE

 

di Pietro Passerotti

In quel periodo vivevamo nei bassifondi, dove l’unico  giorno in cui c’era qualcuno per le strade era quello dei grandi mercanti. Sui muri dei palazzi del mio quartiere c’erano ancora quei cartelloni logorati che qualche anno prima avevano annunciato l’arrivo del circo.

Ogni bambino che sceglieva di mettersi a rischio uscendo dal portone del suo palazzo, lo faceva solamente per andare nei luoghi di incontro, dai suoi amici, o per andare a commettere qualcosa di illecito. Rimanere a lungo in “bella vista” era come una condanna a sguardi indesiderati e, alcune volte, a prepotenze.

Uno di quei ragazzi che sceglieva di sfidare “il prepotente” ero io, uscivo ormai quasi ogni giorno. Fortunatamente non andavo a far parte di qualche banda di scapestrati che girava su delle jeep facendo paura ai bambini, bensì correvo sotto alla scuola, dove ci riunivamo io e i miei amici, per organizzare la distribuzione di qualche volantino contro la violenza o la guerra. Solo quell’estate avevamo fatto, a mano perchè non avevamo altri mezzi, poco più di cento volantini, poi li avevamo distribuiti davanti allo zoo abbandonato e accanto alla scuola.

Spesso uscivo perché non ce la facevo a stare nel clima che si era creato a casa, fatto di paura e nervosismo. Paura perché papà aveva perso da una decina di giorni il lavoro e mamma non sapeva più con che soldi mantenere me e i miei due fratelli.  Proprio uno di quei giorni di gennaio , mamma e papà mi avevano avvertito che dovevamo provare a scappare da quella situazione tremenda, con un governo corrotto, che era  una parola che  avevo imparato da poco. Inoltre in quel periodo la mia scuola era chiusa, perché dicevano che dovevano fare dei lavori dentro all’edificio.

Io però, tutti i giorni, continuavo a fare qualche esercizio di matematica sul mio quaderno e leggevo e rileggevo i manifesti del circo fuori casa mia. Sinceramente, dico il circo, mi era sempre sembrato interessante ma per ovvi motivi non mi potevo permettere di diventare un circense. Ma… un giorno in cui decidemmo di non incontraci con i miei amici iniziai a pensare a cosa fare a casa per non annoiarmi. Fu in quel momento che pensai di far finta di essere un componente di un circo, solo per passare tempo. Avevo già visto degli spettacoli circensi e così provai a impersonarmi in quegli uomini che volavano da una parte all’altra del tendone e lo dominavano. Così iniziai a giocare con delle vecchie palline rimaste in casa, le facevo volare e di lancio in lancio miglioravo, e sempre di più iniziavo ad assomigliare a quei giocolieri che affascinavano le persone. Piano, piano il gioco si trasformò in una piccola passione, che coltivavo come un fiore delicato quanto un fiocco di neve. Iniziai ad uscire sempre di meno da casa, e passavo tutte le mie giornate a lanciare quelle palline. Spesso andavo a cercare qualcosa di nuovo da lanciare tra i cumuli di cose non utilizzate che c’erano vicino alle scuole. Un giorno lanciavo bottiglie, l’altro pezzi di legna,uno cartocci di carta, l’altro giocattoli vecchi. Nonostante questo, il rapporto con i miei amici rimaneva ben saldo e continuavo ad andare a fare lunghe passeggiate, e riunioni con loro, quando potevo.

Succedeva alle volte che i miei fratelli mi chiedessero perché stessi tutto il giorno a giocare con qualsiasi oggetto che mi capitasse in mano e per quale motivo quando lo facevo era come se mi escludessi dal mondo che mi circondava. Non potevo spiegar bene loro il perché, erano troppo piccoli, e non avrei neanche saputo come dirli che per un ragazzo della mia età mi preoccupavo fin troppo di quello che mi succedeva attorno, che ero considerato come uno dalla lingua troppo lunga. Ed  era per questo che lo facevo, mi aiutava a pensare a quello che succedeva e ad immaginare me stesso come una persona che potesse portare una lanterna in quel corridoio buio.

Una mattina fui svegliato da un trambusto piuttosto insolito, alzandomi vidi che i miei genitori stavano prendendo il loro caffè mattutino e che non sembravano molto contenti di ciò che succedeva. Aprii la finestra della cucina e dopo esser stato colpito da un vento quasi come nuovo feci la scoperta più importante della mia vita. Mi sentivo come un archeologo che fino a quel giorno non era riuscito a scoprire neanche un vecchio scarpone ma ora stava per diventare il più famoso studioso del mondo. Non mi sembrava vero e ancora oggi faccio fatica a raccontarlo, era il circo! Sembrava come un sogno che si avverava.

Poco tempo dopo seppi che, proprio quel circo, si sarebbe esibito, e per di più anche gratuitamente. Infatti il circo Humus, così si chiamava, si esibiva ovunque nel mondo gratuitamente per portare un sorriso alle popolazioni che vivevano in realtà difficili, inoltre riuniva artisti di tutti i tipi e di qualunque etnia. Passò qualche giorno e arrivò il momento che più aspettavo, andare a sedermi nella prima fila del tendone, e godermi lo spettacolo che avrei voluto poter recitare io. Ero felicissimo, ma allo stesso tempo incuriosito, non mi ricordavo come era vedere uno spettacolo circense e ebbi paura che potesse non piacermi. Appena entrato nel tendone, però , le mie idee si chiarirono subito: amavo quell’energia e sarei stato a osservare quelle persone esibirsi per giorni interi. Quella volta eravamo la famiglia al completo, era la prima volta dopo tanto tempo che vedevo i miei genitori sorridere spensierati senza dar spazio alle difficoltà economiche e sociali che avevamo. I miei fratelli erano felicissimi, non era una cosa da poco andare al circo e per tutto lo spettacolo stettero zitti per quanto rimasero meravigliati. Solo quando tornammo a casa pensai che quella poteva essere stata li mia ultima volta in un circo e in quel momento la malinconia prese il sopravvento, ma per contrastarla decisi di appendere il poster che mia avevano regalato i circensi il fatidico giorno e di continuare ad allenarmi sempre di più nella speranza di poter diventare uno di quelli che avevano fatto vivere delle bellissime ore ad una famiglia piena di difficoltà.

Un giorno mia madre mi propose di andare a vedere i circensi partire, che lasciavano il paese per nuove mete. Quando , però, arrivammo mi disse che doveva andare a fare i complimenti all’uomo che era a capo di tutta quella bellezza. Solo il giorno dopo seppi che mia madre era riuscita a convincere l’uomo a portarmi con lui via dal paese, che era in un momento critico. La mia reazione fu tremenda, disperata, mi sentii pugnalato alle spalle, nessuno aveva chiesto il mio consenso. Qualche giorno dopo arrivò il momento di partire e per quante lacrime versai avrei potuto spegnere un fuoco. Pensai che la mia vita si sarebbe trasformata in un  incubo, amavo il circo ma non ero pronto per lasciare la mia famiglia. Non ricordo neanche come mi convinsi a salire su quel carro e per tutto il viaggio guardai verso casa sperando di vedere il volto di mia madre avvicinarsi.

Passarono i mesi e imparavo sempre di più, ma il mio cuore non si riparava, era come un vaso impossibile da ricostruire. Continuavo a tenermi in contatto con la mia famiglia, ma riuscivo ad averne qualche notizia solo una o due volte ogni quattro mesi. Ma un giorno il vaso si sbriciolò, mi arrivò una lettera dal paese in cui erano rimasti i miei cari, con alla fine scritto “Ci addolora dirle che la sua famiglia è rimasta vittima di un improvviso bombardamento. Care condoglianze e buona fortuna per il futuro”. Inutile dire che anche un proiettile nel cuore avrebbe fatto meno male. Mi sentivo colpevole della morte dei miei genitori e dei mie fratelli, se fossi rimasto con loro li avrei potuti salvare. Non parlai per mesi, ma poi capii che l’ unico modo per non pensarci era il circo, quello che mi aveva tolto tutto ma che mi aveva salvato.

Come molte altre esibizioni, una sera, mi ero preparato allenandomi e pregando per la mia famiglia ed ero pronto per andare in scena. Lo spettacolo andò benissimo, fu un gran successo e applaudirono tutti. Quando feci per rientrare nei camerini una mano mi toccò la spalla, mi voltai e vidi un uomo vecchio che mi sembrava familiare … era mio padre! Accanto c’erano la mamma e i miei due fratelli, il vaso da sbriciolato si ricostruì in pochi secondi e le lacrime che potevano bastare per spegnere un fuoco ora potevano placare un incendio. Ci mettemmo mesi per recuperare, raccontandoceli, tutti gli anni persi. Capii che la lettera era stata scritta da loro, infatti era sorta una dittatura nel mio paese natale e a quanto pare avevo ripreso dai miei genitori, infatti erano stati classificati come persone scomode per il regime. Così scrissero la lettera anonima in modo che la censura dittatoriale la intercettasse e credesse che veramente fossero morti in un bombardamento che c’era stato poco tempo prima.

Finalmente potevo toccare la barba dei miei fratelli e le rughe, ormai, sul viso della mamma.

Quella che vi ho raccontato oggi è la storia di una persona ricca, più ricca del primo milionario del mondo, ricca di tragedie e di cose meravigliose. Una persona fortunata che invece di esser dovuto fuggire dal suo paese con un barcone ha trovato una seconda famiglia che lo ha accolto.

È per questo che oggi ringrazio il circo Humus ed il signor Roberts  di avermi cullato come fossi un figlio e auguro a tutte le persone che stanno vivendo una storia come la mia di continuare a sperare e a combattere, e di guardare il futuro attraverso all’unico buchino rimasto nella porta della vita.